Come ogni altro aspetto della vita umana, l’amore varia nel tempo e nello spazio. Esistono un amore greco, omosessuale ma anche platonico (in cui, cioè, l’attrazione per il bello è fattore di elevazione spirituale), un amore romantico esasperato e passionale, un amore orientale in cui la fisicità è coltivata con forme raffinate di erotismo (pensate al Kamasutra indiano) ed un amore ebraico-cristiano che al contrario colpevolizza ogni rapporto fisico e lo finalizza alla procreazione; e così via. Esiste tuttavia anche un linguaggio universale dell’amore, che attraversa i secoli ed i paesi: è il linguaggio che fa sì che poesie scritte migliaia di anni fa possano consegnarsi ai lettori di oggi con sorprendente freschezza.
I versi che seguono si trovano in un papiro egizio risalente al Regno Nuovo (intorno al 1580 a.C.):
Quando passai vicino a casa sua,
trovai il portone spalancato:
il mio amato stava accanto a sua madre,
tutti i suoi fratelli e sorelle erano con lui.
Il cuore di tutti quelli che si fermavano sulla strada,
s’infiammava d’amore per lui,
il giovane perfetto e senza eguali,
l’amato, dalle scelte qualità.
Mentre passavo, mi guardò:
fui felice,
col cuore contento, con grande gioia.
Ero sola per rallegrarmi,
perché avevo visto il mio amato.
Ah, se sua madre conoscesse il mio cuore!
se questo le venisse subito in mente!
O Dorata*,
metti ciò nel suo cuore:
allora mi affretterò verso il mio amato,
lo bacerò davanti ai suoi,
non avrò vergogna della gente,
ma mi rallegrerò della loro considerazione,
perché tu mi riconoscerai.
Farò una festa alla mia dea
– batte il mio cuore fino ad uscire –
perché faccia ch’io veda il mio amato,
questa notte:
è così bella, quando passa!
(E.Bresciani, Letteratura e poesia dell’antico Egitto, Einaudi, Torino 1999, p.457)
* La dea dell’amore, Hathor