L’immigrazione a Manfredonia

Uno studio sull’immigrazione a Manfredonia è stato compiuto nell’ormai lontano 1989 a cura dell’Ufficio Diocesano Migrazioni del’Archidiocesi di Manfredonia-Vieste*. Risultava all’epoca una presenza di immigrati nel territorio manfredoniano di 1305 unità, per l’80% clandestini, impegnati nel lavoro stagionale nelle campagne, mentre i dati ufficiali del Comune fissavano a soli 185 il numero di stranieri residenti, di cui 48 africani, per lo più provenienti dal Senegal e dediti al commercio ambulante.

Il problema dell’abitazione veniva risolto vivendo nelle campagne o presso un affittacamere in piazza Marconi o ancora prendendo in affitto appartamenti nella zona turistica di Siponto. Non erano pochi, però, quelli che vivevano nelle automobili.
I ricercatori sottoposero ad un campione di 50 immigrati (per l’88% senegalesi) un questionario di 60 domande, per indagarne le condizioni di vita, i bisogni ed i rapporti con la popolazione del luogo. Gli intervistati erano tutti di sesso maschile, di età prevalentemente compresa tra i 20 e i 35 anni, con un’alta quota di analfabeti (22%) ed un ristretto numero (10%) in possesso della laurea. A spingerli a migrare erano state cause economiche, e solo in pochi casi politiche e di studio; la scelta dell’Italia era dovuta alla fama di popolo ospitale, mentre Manfredonia era stata preferita per la bellezza del posto e la bontà delle relazioni umane.
Solo 2 dei 50 intervistati avevano dichiarato di avere un rapporto di lavoro regolare; gli altri erano sottoccupati, per lo più venditori ambulanti. Le spese di affitto variavano per la maggior parte degli intervistati dalle 100.000 alle 249.000 lire, una cifra considerevole, se si pensa al fatto che si tratta di stanze o appartamenti affittati con altri immigrati.
Gli intervistati dichiaravano di essere trattati bene dagli italiani ma di frequentare quasi esclusivamente connazionali, e di avere rapporti quasi sempre buoni con il Comune, la polizia, la Chiesa e la USL. Interessanti le domande che focalizzano l’attenzione sulla percezione della realtà italiana sotto il profilo sociale e morale. Il 40 % degli intervistati dichiarava che la moralità era migliore in patria e che in Italia c’era più corruzione; tuttavia la vita familiare dal 46% degli intervistati era considerata migliore in Italia, così come la vita religiosa (74%). Questi due ultimi dati sono particolarmente significativi, perché mostrano in atto un probabile processo di conversione al modo di vivere occidentale. Può essere – ma il questionario non fornisce dati sufficienti per affermarlo con certezza – che gli immigrati, al contatto con la realtà italiana, fossero giunti a dubitare di alcune istituzioni fondamentali della cultura di provenienza, considerate ora rigide ed oppressive. Significativo è anche che il 64% degli intervistati considerasse il proprio paese d’origine più ospitale dell’Italia, anche se solo un 28% dichiarava di aver vissuto episodi di discriminazione.
Una ricerca più recente sull’immigrazione a Manfredonia è stata compiuta nel 2003 presso il nostro Istituto**. Gli stranieri residenti a Manfredonia al 31 dicembre 200 risultano essere 439, di cui 287 provenienti dall’Africa (169 dal Senegal), 94 da paesi dell’Est Europa (prevalentemente Albania e Macedonia), 23 dall’Asia ed un numero più ristretto dai Paesi europei e dall’America. Il lavoro contiene una indagine sugli atteggiamenti dei manfredoniani nei confronti degli immigrati, condotta su un campione (certamente non rappresentativo) di 40 persone, di cui 16 maschi e 24 femmine. Da essa risulta che l’atteggiamento più frequente dei manfredoniani nei confronti degli immigrati sarebbe l’indifferenza (24%), seguita dalla compassione (20%) e tolleranza (22%). Il 60% degli intervistati dichiara che i suoi rapporti con gli immigrati sono semplicemente inesistenti.
Bisogna osservare che un questionario a risposta multipla non è lo strumento più adatto per misurare gli atteggiamenti. Se di fosse adoperato un questionario di Likert, probabilmente i risultati sarebbero stati notevolmente diversi, e meno tranquillizzanti.
Intanto la morte – probabilmente per freddo o per intossicazione alimentare – di due ragazzi rumeni di 17 e 24 anni, ritrovati in un casolare presso la fabbrica Manfredonia Vetro, così viene commentata da un utente del forum di manfredonia.net: “sono peggio degli Zingari, degli slavi, degli albanesi, dei turchi, degli Ucraini, dei polacchi, sono semplicmente delle bestie da cacciare a calci nel c*** dal ns. paese…” Vi risparmio il resto.

*AA.VV., Immigrati a Manfredonia. Per un dialogo interrazziale, Comunità Montana del Gargano, San Giovanni Rotondo 1989, pp. 105.
**ISISS “Roncalli”, Manfredonia: dall’emigrazione all’immigrazione, area di progetto della classe V A, a.s. 2002/03.

2 pensieri su “L’immigrazione a Manfredonia

  1. utente anonimo

    Una canzone bellissima di Francesco Guccino:Amerigo.A me fa venire i brividi.E so che oggi questa storia, in altre terre, per altre persone, continua ad accadere.

    Amerigo

    Probabilmente uscì chiudendo dietro a se la porta verde,

    qualcuno si era alzato a preparargli in fretta un caffè d’ orzo.

    Non so se si girò, non era il tipo d’ uomo che si perde

    in nostalgie da ricchi, e andò per la sua strada senza sforzo.

    Quand’ io l’ ho conosciuto, o inizio a ricordarlo, era già vecchio

    o così a me sembrava, ma allora non andavo ancora a scuola.

    Colpiva il cranio raso e un misterioso e strano suo apparecchio,

    un cinto d’ ernia che sembrava una fondina per la pistola.

    Ma quel mattino aveva il viso dei vent’ anni senza rughe

    e rabbia ed avventura e ancora vaghe idee di socialismo,

    parole dure al padre e dietro tradizione di fame e fughe

    E per il suo lavoro, quello che schianta e uccide: “il fatalismo”.

    Ma quel mattino aveva quel sentimento nuovo per casa e madre

    e per scacciarlo aveva in corpo il primo vino di una cantina

    e già sentiva in faccia l’ odore d’ olio e mare che fa Le Havre,

    e già sentiva in bocca l’ odore della polvere della mina.

    L’ America era allora, per me i G.I. di Roosvelt, la quinta armata,

    l’ America era Atlantide, l’ America era il cuore, era il destino,

    l’ America era Life, sorrisi e denti bianchi su patinata,

    l’ America era il mondo sognante e misterioso di Paperino.

    L’ America era allora per me provincia dolce, mondo di pace,

    perduto paradiso, malinconia sottile, nevrosi lenta,

    e Gunga-Din e Ringo, gli eroi di Casablanca e di Fort Apache,

    un sogno lungo il suono continuo ed ossessivo che fa il Limentra.

    Non so come la vide quando la nave offrì New York vicino,

    dei grattacieli il bosco, città di feci e strade, urla, castello

    e Pavana un ricordo lasciato tra i castagni dell’ Appennino,

    l’ inglese un suono strano che lo feriva al cuore come un coltello.

    E fu lavoro e sangue e fu fatica uguale mattina e sera,

    per anni da prigione, di birra e di puttane, di giorni duri,

    di negri ed irlandesi, polacchi ed italiani nella miniera,

    sudore d’ antracite in Pennsylvania, Arkansas, Texas, Missouri.

    Tornò come fan molti, due soldi e giovinezza ormai finita,

    l’ America era un angolo, l’ America era un’ ombra, nebbia sottile,

    l’ America era un’ ernia, un gioco di quei tanti che fa la vita,

    e dire boss per capo e ton per tonnellata, “raif” per fucile.

    Quand’ io l’ ho conosciuto o inizio a ricordarlo era già vecchio,

    sprezzante come i giovani, gli scivolavo accanto senza afferrarlo

    e non capivo che quell’ uomo era il mio volto, era il mio specchio

    finché non verrà il tempo in faccia a tutto il mondo per rincontrarlo,

    finché non verrà il tempo in faccia a tutto il mondo per rincontrarlo,

    finché non verrà il tempo in faccia a tutto il mondo per rincontrarlo…

    (F. Guccini)

    Ludò

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